giovedì 29 aprile 2010

la popolazione mondiale e l'ambiente

Per popolazione mondiale si intende il numero totale di esseri umani viventi sul pianeta Terra in una data definita. Per esempio, si stima che all'8 febbraio 2010 la popolazione mondiale abbia raggiunto i 6.801.400.000 abitanti.

distribuzione della popolazione

non tutte le terre sono densamente popolate ugualmente. questa immagine mostra le varie densità della popolazione nell'anno 2oo6



L' Asia ospita da sola oltre il 60% della popolazione mondiale, con 3,8 miliardi di persone. La Repubblica Popolare cinese e l' India da sole ne contano rispettivamente il 20% e il 17%. Segue l' Africa con 840 milioni, il 12% del totale, mentre l' Europa (710 milioni, 11%) e il Nord America (514 milioni, 8%) sono dietro. Chiudono Sud America (371, 5,3%) e Oceania (21 milioni).



Tasso di crescita 

Si nota che nel XX secolo l'enorme incremento della popolazione umana è avvenuto per diverse cause : per la diminuzione del tasso di mortalità di molti paesi, per i progressi della medicina moderna e per l'enorme incremento della produttività agricola, definito come rivoluzione verde
                                                  
Arrow up green.svg 237,771 milioni in Asia
Arrow up green.svg 92,293 milioni in Africa
Arrow up green.svg 38,052 milioni in America Latina
Arrow up green.svg 16,241 milioni in Nord America
Arrow up green.svg 1,955 milioni in Oceania
Arrow down red.svg -3,264 milioni in Europa.
Arrow up green.svg 383,047 milioni nel mondo intero.
POPOLAZIONE E AMBIENTE Madre natura non dà una seconda possibilità 
                                        
Con l’inizio del nuovo millennio, l'impatto dell’uomo sull’ambiente è sempre più evidente e diffuso. Quasi il 40% della superficie terrestre è ormai adibito ad agricoltura e a pascolo permanente, e metà delle foreste tropicali sono state distrutte o danneggiate. Interi ecosistemi di acqua dolce e salata sono stati profondamente degradati da scarichi chimici, dallo scarico di liquami e da perdite di petrolio. Lo strato di ozono ha subito danni consistenti, e le emissioni di anidride carbonica causano smog e piogge acide e contribuiscono al riscaldamento globale e al cambiamento climatico; e si calcola che ogni ora tre insostituibili specie animali e vegetali si estinguano.

Alla base del problema è la rapida crescita della popolazione e lo stile di vita insostenibile e consumistico che alcuni di noi scelgono di adottare.
Nel mondo in via di sviluppo l’ambiente è sottoposto a sempre maggiori pressioni da parte degli abitanti, che vogliono assicurarsi almeno la pura sopravvivenza, mentre le abitudini consumistiche del mondo industrializzato - specialmente degli Stati Uniti e del Canada - dilapida le risorse più preziose, lasciandosi dietro una scia di residui tossici.



  Le catastrofi del nostro tempo: la scomparsa delle foreste
Per la sopravvivenza, per soldi, per moda       
La storia dell’Isola di Pasqua dimostra che il declino delle foreste non è affatto un fenomeno moderno; ma ciò è che tipico del nostro tempo è il ritmo e l’estensione della deforestazione mondiale. Agli inizi di questo secolo, le foreste ricoprivano circa il 40% dell’area totale terrestre. Oggi, quelle stesse foreste ricoprono meno del 27%, circa 1/3 in meno. Nelle zone in via di sviluppo, dove la pressione della popolazione ha accelerato il disboscamento per ottenere terre per l'agricoltura e legna da ardere, è ormai scomparso il 50% delle foreste.
La distruzione delle foreste - temperate e boreali, non solo tropicali - provoca una serie di problemi ambientali. 
Infatti, le foreste aiutano a regolare l’ammontare di ossido di carbonio (il principale gas responsabile dell'effetto serra) nell’atmosfera. Man mano che le foreste vengono tagliate, non solo si riduce la capacità del pianeta di assorbire l'anidride carbonica, ma la stessa anidride carbonica contenuta negli alberi viene rilasciata nell’atmosfera.
Le foreste aiutano inoltre a stabilizzare le condizioni atmosferiche locali e globali. Le deforestazioni su larga scala sono responsabili di cambiamenti nell'andamento stagionale del tempo atmosferico, come pure dell'erosione del suolo e dell’aumento dei detriti fluviali.
Ormai appare certo che l’aumento delle inondazioni in India e Bangladesh sia stato causato dalla deforestazioni nelle montagne dell’Himalaya, dove nascono molti dei fiumi del sub-continente indiano. 
Recenti inondazioni disastrose in Cina e Honduras sono sempre collegate al fenomeno della deforestazione. 
Le specifiche cause della deforestazione variano da regione a regione, ma il motivo principale è semplice: aumentando il numero degli abitanti, aumenta di conseguenza la richiesta di legno e prodotti derivati.
Secondo uno studio approfondito realizzato dall’O.N.U., il 79% delle deforestazioni totali tra il 1973 e il 1988 sono il diretto risultato della crescita della popolazione.
La causa principale della scomparsa delle foreste è il disboscamento al fine di adibire terreni all’agricoltura nelle regioni in via di sviluppo, e la seconda la raccolta di legna da ardere in quelle regioni, specialmente in Africa, dove il 90% della popolazione dipende dalla legna per cucinare e scaldarsi

La colpa, comunque non è tutta delle regioni meno sviluppate; infatti, anche se la deforestazione è più rapida nei Paesi in via di sviluppo, oltre metà del legno ricavato viene utilizzato nei Paesi industrializzati.
Nel mondo sviluppato - dove le foreste temperate e boreali stanno comunque scomparendo sotto le seghe dei taglialegna a ritmi elevati - la raccolta del legname è la causa primaria della deforestazione. In Canada, ogni anno vengono tagliati più di un milione di ettari, mentre in Siberia il taglio annuale potrebbe raggiungere i 4 milioni di ettari - il doppio del Brasile.
Tutto ciò avviene a causa del modello di consumi tipico delle nazioni industrializzate, specialmente gli Stati Uniti e il Canada; infatti, gli Stati Uniti consumano da soli oltre 1/3 di tutta la carta prodotta nel mondo, la maggior parte della quale finisce in imballaggi e pubblicità. Un'enorme quantità di legno viene inoltre consumata dall'industria delle costruzioni, sia a causa dell'aumento della popolazione che per l'aumento dei consumi, e cioè per il fatto che gli americani ora vivono in case grandi quasi il doppio rispetto a quelle di 50 anni fa o occupano uno spazio residenziale più grande di 2 volte e mezzo. Inoltre, più di 10 milioni di americani posseggono due o più case, e negli Stati Uniti ci sono più centri commerciali che scuole superiori.

Se l’attuale ritmo di crescita della popolazione e il modello di sviluppo continuano, la deforestazione aumenterà. E bisogna tener conto del fatto che si prevede che oltre il 95% della futura crescita della popolazione si verificherà nei Paesi in via di sviluppo, dove si trovano la maggior parte delle foreste tropicali e temperate. La povertà e la difficoltà di accesso a terra coltivabile, unite a insufficiente assistenza sanitaria, istruzione ed infrastrutture, che limitano le opzioni economiche, costringerà l’uomo a disboscare le foreste.
Anche la distruzione di foreste temperate e boreali nelle regioni industrializzate continuerà se sempre più persone vivranno con stili di vita sempre più consumistici. 
Però queste tendenze possono essere invertite. Gli investimenti nel sociale, l'uso di tecnologie appropriate, l'istruzione e lo sviluppo sostenibile, insieme al rispetto dei diritti umani e la diminuzione dei consumi possono stabilizzare la popolazione; procedimenti più efficienti nella produzione e nella lavorazione possono ridurre la quantità di legname raccolta, mentre una politica economica che riconosca (e faccia pagare) il danno causato dalla deforestazione può ridurre la domanda di prodotti del legno. 


  La fine della Creazione 
Cresce la popolazione umana: scompare lo spazio degli altri esseri viventi   
Anche la biodiversità sta declinando in tutto il mondo, e, come la deforestazione, anche questo declino è chiaramente connesso all'attività umana.
Ogni anno, circa 27.000 specie scompaiono per sempre - un tasso d’estinzione pari a quasi tre piante, animali, insetti, o microrganismi ogni ora. In effetti, le specie stanno sparendo così velocemente che molte non vengono nemmeno classificate con un nome, e ancora meno studiate e capite, prima che si estinguano per sempre.
A tale ritmo, gli scienziati stimano che circa 1/5 di tutte le forme di vita sulla Terra scompariranno nei prossimi 30 anni (nessuno sa con certezza quante specie abitino la Terra: le stime vanno da meno di 4 milioni a più di 100. I tassi d’estinzione sono stati oggettio di stime diverse, che partono da un minimo di 6.000 specie fino ad un massimo di 60.000, o addirittura 90.000 all'anno).
Le principali minacce alla biodiversità provengono dalla densità di esseri umani e dal loro comportamento; man mano che le foreste pluviali vengono distrutte, il biotopo che abita i loro bacini idrografici - che comprende circa metà di tutte le specie del pianeta - viene distrutto; man mano che le terre umide vengono bonificate e prosciugate per farne pascoli e aree residenziali, altre specie si estinguono; molte specie di insetti utili vengono uccise dall’uso di pesticidi, mentre pratiche agricole intensive e dipendenti dai prodotti chimici e dalla meccanizzazione distruggono funghi e microrganismi che popolano il suolo. E, quando l’uomo introduce specie da altre aree geografiche, quelle native spesso non riescono a  competere con successo per le risorse, o diventano prede delle nuove specie. 

Probabilmente, la correlazione più evidente  fra dimensione della popolazione e l’estinzione delle specie è quella tra densità abitativa e habitat delle specie selvatiche.
Secondo uno studio su 50 Paesi effettuato da Paul Harrison ("The Third Revolution", 1992) le aree con maggior densità di popolazione hanno anche il minore habitat naturale. Per esempio, paesi con densità minore a 294 abitanti/kmq (come gli Stati Uniti) hanno una media di 59% di habitat naturale, nazioni con densità sotto 379 abitanti/kmq hanno il 45% di media, mentre quelli con densità sopra il 454 persone/kmq hanno solo 1/3 del loro habitat originario; e i Paesi più densamente popolati - con una media compresa tra 1190 e 1180 abitanti/kmq – conservano a malapena il 15% del loro habitat naturale originario.
Anche gli ecosistemi marini sono in declino, a causa di molteplici fattori, quali la deviazione delle acque e l‘inquinamento, la sedimentazione dovuta all’erosione del suolo a monte, la pesca eccessiva e l‘introduzione di nuove specie. Mentre le specie di terra ricevono più attenzione, quelle marine sono più varie e più minacciate: quasi la metà dei phyla naturali del nostro pianeta sono esclusivamente marini, e 31 dei 32 phyla animali conosciuti sono rappresentati in ambienti marini. Le specie marine forniscono una buona percentuale di proteine alla dieta umana, assorbono enormi quantità di CO2 e contengono potenzialmente sostanze utili alla medicina. Indicatori come la diminuzione del pescato e dei molluschi raccolti, l’estinzione di numerose specie d’acqua dolce e il declino delle barriere coralline dimostrano tutti che la crescente minaccia alla biodiversità marina è causata dall' attività umana.  
  L'aria che respiriamo
Smog, piogge acide, riscaldamento globale          
Il numero di esseri umani e le loro attività hanno un impatto negativo anche sull’atmosfera terrestre, a causa dell'emissione di sostanze inquinanti che causano smog, piogge acide e l’assottigliamento dello strato d’ozono. Questo fatto è chiaramente collegato al numero di esseri umani e alle loro attività perchè dipende soprattutto dall’emissione di sostanze inquinanti da parte di automobili e industrie.
La produzione mondiale di veicoli ha raggiunto ora i 50 milioni di unità all'anno, mentre il numero totale di automobili circolanti in tutto il mondo supera i 500 milioni. Man mano che sempre più persone guidano sempre più automobili, e cresce quindi la domanda di energia prodotta dalla combustione di petrolio, carbone e gas naturale, le emissioni, e di conseguenza l’inquinamento atmosferico, aumenteranno ancora di più. L’aumento dei livelli d’emissione di anidride carbonica è inoltre causa di quella che potrebbe rivelarsi la più seria minaccia a lungo termine per l’umanità - il cambiamento climatico globale.
A livello locale, l’inquinamento si traduce in un degrado della qualità dell’aria, o smog. A Città del Messico- che ha una densità di abitanti doppia rispetto a quella di New York ed è la più grande fra le megalopoli dei Paesi in via di sviluppo - la qualità dell’aria è considerata la peggiore del mondo. In alcuni giorni, lo smog è così fitto che le industrie e le scuole sono obbligate a chiudere e le macchine circolano con i fari accesi. Infatti, respirare l’aria di Città del Messico - dove risiede circa il 20% della popolazione, in rapida crescita, del Messico - è come fumare due pacchetti di sigarette al giorno.
In Cina - dove l'energia per la rapida industrializzazione proviene prevalentemente da centrali elettriche a carbone - le città più grandi come Shenyang, Xian, Pechino, Shanghai e Guanzhou sono fra le 10 città più inquinate del mondo. In tutta la Cina, i casi di morte dovuti a problemi respiratori sono aumentati di circa il 25% negli ultimi dieci anni; a Xian, la capitale della provincia di Shaanxi, da parecchi anni ormai il numero di persone affette da problemi respiratori aumenta del 10% all'anno; a Shanghai, l’aria contiene 302 diversi tipi di prodotti chimici (di cui 1/3 cancerogeni) e si calcola che da 300 a 500 persone muoiano ogni anno a causa della scarsa qualità dell’aria.
Negli Stati Uniti, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente stima che circa 60.000 persone muoiano ogni anno per problemi respiratori causati all’emissione di polveri sottili, e una media di 14 persone muoiano ogni giorno di asma aggravata dall’inquinamento dell’aria - un aumento del 300% rispetto a 20 anni fa. L'inquinamento ha diminuito
 la visibilità addirittura del 70% in alcune zone del Paese, ed ha degradato anche le zone più incontaminate: 1/3 della foschia presente nel Grand Canyon è il risultato dell’inquinamento di Los Angeles, come pure almeno 1/5 di quella del Parco Nazionale delle Montagne Rocciose, nei giorni in cui l’aria è inquinata.
L’inquinamento atmosferico diventa evidente a livello locale quando si trasforma in piogge acide. Man mano che particelle inquinanti provenenti dalla combustione di combustibili fossili reagiscono con la luce del sole, l'ossigeno e l'umidità dell’atmosfera, si trasformano in nuovi composti: il biossido di zolfo diventa acido solforico e l’ossido di azoto, acido nitrico. Quando questi acidi, trasportati dall’aria, cadono sulla terra sotto forma di precipitazioni, possono uccidere i pesci nei laghi e nei torrenti, danneggiare foreste e raccolti, corrodere i metalli.
In Europa, l’ONU ha stimato che circa 1/4 di tutte le foreste sono state danneggiate dalle piogge acide, e in Gran Bretagna almeno la metà. Secondo l’Agenzia Nazionale Cinese per la Protezione dell'Ambiente, le piogge acide, generate dalle emissioni della combustione del carbone, cadono su oltre il 40% del Paese: a causa dei danni che provoca ai terreni coltivati, il biossido di zolfo è conosciuto come "il dio della morte trasportato dall’aria".
A livello globale, l'inquinamento prende due forme diverse - l'assottigliamento dello strato di ozono e il riscaldamento globale- ognuna delle quali comporta pericoli precisi e nuove sfide per gli uomini e l'ambiente.
L’assottigliamento dello stato d’ozono è causato principalmente dall’emissione di clorofluorocarburi, o CFC. Queste sostanze chimiche sono utilizzate di solito come fluidi nei sistemi di condizionamento dell'aria, propellenti per aerosol e solventi industriali; gli scienziati sono convinti che anche un solo atomo di cloro liberato nell’atmosfera possa distruggere oltre 10.000 atomi d’ozono.
Malgrado il fatto che accordi internazionali abbiano limitato l’uso dei CFC dopo il 1996, il rilascio di questi composti nell’atmosfera continuerà per almeno altri 10 anni: alle nazioni in via di sviluppo è stato infatti concesso d utilizzarli fino al 2005, mentre le nazioni industrializzate hanno il permesso di produrre CFC per esportarli a quei Paesi. Del resto, anche alcune sostanze chimiche usate come sostituti dei CFC hanno degli effetti distruttivi ben conosciuti nei confronti dell'ozono, e la loro produzione ha appena iniziato a diminuire; inoltre, poiché i CFC possono probabilmente rimanere nell’atmosfera dai 50 ai 100 anni, la distruzione dello strato di ozono continuerà per molto tempo ancora dopo che la produzione del CFC sarà cessata.
A causa dell'assottigliamento dello strato d’ozono, molte più radiazioni ultraviolette riescono a raggiungere la superficie della Terra, e gli scienziati ritengono che ciò possa causare danni a piante, mammiferi, insetti e uccelli; l’aumento dell’esposizione ai raggi ultravioletti può anche danneggiare il sistema immunitario umano ed ha un ben conosciuto effetto cancerogeno.
Secondo l’Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente, la degradazione dello strato d’ozono e la conseguente esposizione ai raggi ultravioletti causeranno, nei soli Stati Uniti, 12 milioni di casi di cancro alla pelle nei prossimi 50 anni; più di 200.000 di quei casi risulteranno fatali.
Sono comunque il riscaldamento globale e il cambiamento climatico a rappresentare il più serio pericolo ambientale causato dall’inquinamento umano. Nonostante il fatto che i ritmi meteorologici mondiali non siano ben conosciuti, è ormai chiaro che la temperatura sta aumentando ovunque. I 10 anni più caldi da quando si è iniziato a raccogliere i dati sulle temperature sono tutti successivi al 1980, compreso l'anno più caldo mai registrato, il 1998.
Le emissioni di anidride carbonica e la concentrazione nell'atmosfera di gas che provocano l'effetto serra hanno raggiunto livelli record proprio in questo periodo, poiché sempre più persone bruciano sempre più legna, carbone e derivati del petrolio.
Ma, mentre gli effetti complessivi delle attività umane sul clima terrestre restano incerti, l’impatto negativo del riscaldamento globale è invece ben chiaro: l’aumento del livello del mare e disastri naturali come gli uragani minacciano i cittadini fisicamente ed economicamente; ondate di caldo che bruciano i raccolti, tempeste e inondazioni fuori stagione e siccità mettono in pericolo gli individui, le comunità e la sicurezza alimentare. Se la Terra continua a riscaldarsi e le calotte glaciali a sciogliersi, i livelli del mare saliranno e minacceranno le comunità costiere (dove è concentrata una grossa percentuale della popolazione mondiale) in tutto il mondo.
Attualmente, i 1.2 miliardi di abitanti dei paesi industrializzati generano la maggior parte di emissioni di anidride carbonica, a causa dello stile di vita consumistico che hanno scelto; ma i Paesi in via di sviluppo contribuiscono già con oltre 1/3 del totale. Man mano che quei Paesi- dove avverrà la maggior parte della crescita della popolazione nelle prossime decadi - si svilupperanno, le loro emissioni aumenteranno in modo significativo. Basandosi sui  tassi di crescita prevedibili, il Fondo per la Popolazione dell’ONU afferma che i Paesi in via di sviluppo duplicheranno la loro emissione di monossido di carbonio entro il 2025. 

  C'è ancora tempo per agire
Salviamo l'ambiente e l'economia        
Ci si aspetta che la popolazione mondiale cresca di 80 - 85 milioni di persone ogni anno per almeno i prossimi 30 anni. Nello stesso tempo, sempre più nazioni, e quindi miliardi di persone in più, raggiungeranno più alti livelli di sviluppo economico, di produzione e consumi. Ciò provocherà, a sua volta, un aumento significativo dell’uso di risorse naturali ed energia. Naturalmente, tutte le nazioni e i loro abitanti hanno il diritto di migliorare il loro livello di vita, ma, se le attuali tendenze continuano, il danno all’ambiente sicuramente aumenterà ed accelererà. 

La buona notizia è che possiamo proteggere il nostro mondo e la nostra sicurezza. Ma per fare ciò dobbiamo stabilizzare la popolazione, sviluppare sistemi energetici rinnovabili e non inquinanti e adottare tecnologie e pratiche produttive sostenibili. Questi traguardi non sono ne' difficili da un punto di vista tecnico ne' particolarmente costosi: potremmo fare tutto ciò con molto meno sforzo e denaro di quello che attualmente il mondo spende in armi e guerre e creando, nel processo, un'economia forte e sostenibile.
Ma, per poter raggiungere questo obbiettivo, dobbiamo definire e condividere la visione di un futuro positivo, sicuro e sano, ma, soprattutto, dobbiamo lavorare insieme per crearlo.
ricordiamoci che ''